un ballo in maschera

 

Erano veramente belli! Più che belli: perfetti. Era stata decisamente una buona idea rivolgersi a quel vecchio compagno di scuola che ora faceva l’odontotecnico. Quando gli aveva telefonato per dire che erano pronti, si era fiondato nel laboratorio per ritirarli. Il costo era notevole ma, visti i risultati, ne era valsa la pena.

«Per realizzarli ho impiegato una resina nuovissima, assolutamente naturale nell’aspetto e nei colori e, praticamente, indistruttibile!» gli aveva detto l’amico mentre gli presentava una scatoletta nella quale spiccavano, appoggiati su di un letto si ovatta, due denti canini lunghi e aguzzi.

«Farai un figurone! – aggiunse ammiccando – Con questi già m’immagino le ragazze che ti porgono il collo!»

Così era tornato a casa, tutto euforico. Con quell’accessorio, il costume da conte transilvano sarebbe stato perfetto: frac, cilindro, mantello nero foderato in raso rosso e, quale tocco finale, un bastoncino d’ebano col pomo d’argento a forma di testa di lupo.

Tutto era iniziato quell’estate, durante una crociera sul Mar Rosso, durante le quale aveva conosciuto un mucchio di gente simpatica, in particolare quella giovane coppia in viaggio di nozze: gente alla mano, semplice, che solo in seguito aveva scoperto appartenere alla nobiltà, con tanto di villa sui colli ad un centinaio di chilometri di distanza da casa sua. Gliel’avevano perfino fatta vedere in fotografia: un grande edificio antico, coi tetti a punta e circondato da boschi. Al termine della vacanza, come di consuetudine, si erano scambiati numeri di telefono e indirizzi assicurando di mantenere i contatti.

Poi tre mesi di silenzio, finché un giorno non era giunto un invito per una festa in maschera proprio in quella villa da sogno per la notte di Halloween. Così aveva pensato a procurarsi un costume perfetto, per non sfigurare nell’alta società. Ed ora era arrivato il gran giorno.

Si fece la doccia e, appena uscito, non resistette all’impulso di provare quei due gioielli, così li definiva, per gustarne ancora una volta l’effetto: era decisamente ridicolo, tutto nudo, con quei canini lunghi che, però, parevano aver fatto parte da sempre della sua dentatura. Agitò le mani artigliando l’aria mentre gridava, con voce roca: «Voglio il tuo sangueee!» Se qualcuno l’avesse visto in quel momento, l’avrebbe preso per matto o, se fosse stato indulgente, l’avrebbe scambiato per uno di quegli attori porno di film horror di serie Z.

Sorrise.

«…ma, bardato a puntino, sarò tutt’altra cosa!» penso tra sé.

Dopo un’ora era pronto: un perfetto vampiro stile Bela Lugosi. Decise di guardarsi allo specchio un’ultima volta per contemplare l’effetto generale: ottimo! Faceva proprio paura. Aprì la bocca per imitare l’atto di mordere e un canino, forse involontariamente spinto dalle labbra, si sfilò e cadde a terra rimbalzando. Preso dal panico, si accucciò e cominciò a tastare con i palmi delle mani tutt’intorno, come fanno coloro che hanno appena perduto una lente a contatto ed hanno paura di calpestarla. Fortunatamente lo ritrovò.

«Questi aggeggi stanno su per miracolo! Non va per niente bene! Fortuna che è capitato in casa!» disse tra sé. Prese quindi quella specie di colla che gli aveva fornito l’amico e bagnò ben bene le due protesi prima di rimettersele. Le istruzioni dicevano due gocce, ma, sicuramente, doveva essere un po’ come per le medicine: perché funzionassero veramente si doveva abbondare!

Quindi, così combinato, uscì sul pianerottolo, diede una mandata alla porta e si avvicinò a quella del vicino. Suonò. Suonò ancora.

«Vengo, vengo! Un attimo!» disse una voce dall’interno.

Si sentì un breve armeggiare di serratura e la porta di aprì.

«Oh Cristo Santo!» Disse il vicino quando lo vide, impallidendo e spiccando un salto all’indietro.

«Suono il griande Cuonte Dracula e vuoglio il tuo sangue!»

«Disgraziato, sei tu? Così conciato non ti avevo riconosciuto! Mi hai fatto venire un accidente!»

«Ti piace, eh? Sono o non sono un vero Principe delle Tenebre? E guarda questi – disse indicando i canini – che te ne pare?»

Il vicino guardò con attenzione, quasi con fare professionale, poi esclamò ammirato: «Sono… semplicemente perfetti!» concluse.

«Ma, se non sono indiscreto, dove vai vestito in questo modo? – continuò ammiccando – In cerca di vergini da mordicchiare?»

«Vado alla più favolosa festa di Halloween che tu possa concepire: roba d’alto bordo! – rispose agitandogli sotto il naso l’invito – E in quanto alle vergini… beh, non mi dispiacerebbe farmene almeno una! Ora, purtroppo, debbo salutarti: è tardissimo!»

«Ciao! Divertiti e…attento a Van Helsing!»

«Lo farò!» rispose ridacchiando e, con un cenno della mano, salutò l’amico mentre cominciava a scendere le scale per andare alla macchina.

Uscito in strada fu quasi travolto da un gruppetto di ragazzini vestiti da improbabili Lupo Mannaro, Mostro di Frankenstein e Mummia.

«Fermi, sciagurati, che mi sciupate il vestito! L’avete voluta: ora vi mangio!» disse allargando il mantello come fossero le ali di un pipistrello e sporgendosi in direzione dei bimbi fingendo di volerli divorare. Questi fuggirono gridando.

Allora scoppiò in una risata. Alcuni passanti lo guardarono male. Altri mormoravano fra loro commenti poco lusinghieri e su quanto avrebbe dovuto vergognarsi, altri ancora scossero la testa con l’aria di compassione che si ha nei riguardi di un mentecatto.

«Vi ho sentiti! Non sono matto! – gridò loro offeso e, continuando con un sorrisetto maligno, aggiunse – Siete voi matti… matti d’invidia! Perché alla festa dei VIP, hanno invitato me, non voi!»

Poi, aperta la portiera, gettò il cilindro su di un sedile, spostò un po’ il mantello e salì in macchina. Acceso il motore, s’incuneò rapido in mezzo al traffico con uno stridio di gomme.

Un’ora più tardi era uscito dall’autostrada ed aveva imboccato una stradina secondaria che, lentamente, si inerpicava sulle colline.

Ormai la luce cominciava a scarseggiare e stava salendo una nebbia fitta e caliginosa tipica di novembre. Esaminò la mappa stradale ed aguzzò lo sguardo per controllare un cartello: sì era proprio lì che doveva girare.

Dopo una breve serie di tornanti, la strada cominciò a costeggiare una scarpata, facendosi sempre più stretta. Poi venne una galleria. All’uscita si ritrovò in un fondovalle. Le ripide pareti della montagna scomparivano avvolte dalla foschia. Guardò il termometro della vettura: segnava due gradi, un bel freddino! Per fortuna c’era il riscaldamento.

Gettò un’occhiata alla carta: per la villa non mancava poi tanto, solo una ventina di chilometri.

Accese i fari. Certo che in quella stagione doveva passare ben poca gente per quelle lande desolate! In un parziale squarcio nella nebbia, comparvero le luci di un antico paesino arroccato sul fianco della montagna non molto distante dalla strada. «Non verrei ad abitare qui nemmeno se mi pagassero! Morirei di malinconia nel giro di due giorni! Penso che l’esperienza più emozionante che questa povera gente possa avere, sia un reality show trasmesso dalla televisione!» disse tra sé, riprendendo a scrutare la carreggiata.

All’improvviso sentì uno scossone e l’automobile ebbe una sbandata. Prontamente frenò e, con cautela, si fermò sul ciglio della strada. Scese per controllare cosa fosse successo.

«Miseriaccia! – imprecò guardando la gomma anteriore completamente sgonfia – Ora mi toccherà anche cambiare la ruota! Se chiamo l’assistenza, chissà quanto ci impiega ad arrivare e allora, addio festa! Dovrò stare attento a non sporcarmi!»

Aprì quindi il bagagliaio per prendere la ruota di scorta.

«Oh porca miseria! Dannazione delle dannazioni! Anche questa è sgonfia!»

Ritornò nell’abitacolo e prese il telefono cellulare per chiamare i soccorsi.

Nulla. Muto come un pesce.

Uscì all’aperto per vedere se c’era campo.

Niente. Silenzio assoluto.

Pensò alla situazione assurda in cui si trovava: al buio, sul ciglio di una strada secondaria sulla quale passava una macchina ogni morte di Papa, pieno di freddo e vestito da vampiro. Gli venne da ridere. Facendo buon viso a cattivo gioco si rassegnò ad andare fino al paese che aveva visto per chiedere un aiuto o, perlomeno, riuscire a telefonare al carro-attrezzi; si guardò allora nello specchietto retrovisore: con quei denti faceva veramente paura! Sarebbe stata cosa saggia toglierseli.

Aprì un fazzoletto e, con cautela, cominciò a esercitare una lieve trazione per sfilarsi le protesi.

Che non si mossero.

«Dannata colla!» disse, continuando a tirare sempre più forte. Nulla da fare: i denti rimanevano ben ancorati al loro posto. Dopo un altro paio di tentativi ci rinunciò.

«Non posso andare così conciato: mi prenderebbero per matto!» pensò e si tolse cilindro e mantello, rimanendo in frac. Chiuse la macchina e si avviò verso il paesino. Dopo una ventina di passi, ci ripensò: era troppo freddo e stava levandosi un vento gelido. Non era certo il caso di prendersi un accidente; se avesse incontrato qualcuno, gli avrebbe spiegato la situazione: dopotutto era la notte di Halloween!

Lentamente, passo dopo passo, risalì la stradina che conduceva al paese. Per fortuna ora si intravedeva qualche lampione che rischiarava il selciato.

Finalmente ci era arrivato: era un piccolo paesino arroccato, sicuramente molto antico, che pareva essere stato un tempo circondato da alte mura, ormai per gran parte adattate ad abitazione. Un grande arco, sicuramente quello che rimaneva dell’antica porta, immetteva in una via stretta e ripida: certo che così avvolto dalla nebbia, pareva che il tempo si fosse dimenticato di passare da quelle parti, lasciando tutto com’era un secolo fa. Soffiandosi ogni tanto sulle mani per riscaldarle ed aiutandosi col bastoncino da passeggio, continuò faticosamente la salita, con le scarpette di vernice che scivolarono sui sassi umidi. Imprecò sottovoce.

Come aveva previsto, in giro non c’era un cane. Parevano tutti rintanati nelle proprie case e, con quel freddo e quell’umido, non poteva certo dar loro torto! Riprovò col telefono cellulare, ma continuava a indicare la totale assenza di segnale.

Una raffica di vento gelido l’investì. Si strinse allora ancora di più nel mantello mentre, con la mano libera, teneva saldo il costoso cilindro. La salita, frattanto, stava diminuendo e la strada si allargava verso una piccola piazza. Nella nebbia intravide un’ombra indistinta. Accelerò il passo in quella direzione gridando: «Ehi! Ehi! Un momento…»

Nell’avvicinarsi la sagoma cominciò a rivelare una giovane ragazza che, sentendo quei richiami attraverso l’aria ovattata, si girò. A mano a mano che lui le si avvicinava la sua espressione cambiò da curiosa a incredula a terrorizzata. Iniziò a gridare come una forsennata cominciando a correre verso un vicolo lì vicino, nel quale scomparve.

«Signorina, si fermi! Si fermi! Le posso spiegare tutto…» continuò a gridarle, correndole istintivamente dietro. Sentì qualche scuro che si apriva ed occhi curiosi che, nascosti, spiavano per capire cosa stesse succedendo.

Ora le grida della ragazza erano cessate ed il silenzio sembrava essersi nuovamente impossessato del paese.

Improvvisamente, però, ripresero: acute, strazianti, orribili.

Senza nemmeno pensarci corse in quella direzione, col mantello svolazzante quale una gigantesca ala, mentre un lampione posto all’angolo di un vecchio edificio proiettava la sua ombra, accentuata dal cilindro, nera e spettrale. Entrò nel vicolo in cui aveva visto dirigersi la ragazza e la vide: era distesa supina, in una posizione innaturale. Le si avvicinò. Tra il buio e la nebbia non si riuscivano a distinguere bene i particolari, perciò le s’inginocchiò accanto: si rese subito conto che non respirava.

Aguzzò gli occhi: qualcosa di lucido le ricopriva la gola e scendeva fino a una spalla.

Toccò con una mano: un liquido caldo e appiccicoso gli si insinuò tra le dita, che istintivamente portò sotto il naso per annusare. Quell’odore dolciastro era inconfondibile. Così come il gusto.

Si trattava di sangue!

Disgustato dall’orrore stava per rialzarsi per chiamare aiuto, quando sentì un grido alle sue spalle: «Guardate, guardate! È lì! Ne ha uccisa un’altra!»

Era la voce baritonale di un uomo alto e magro, con un lungo cappotto nero, che stava chiamando a raccolta altri cittadini mentre, con un dito accusatore, lo stava indicando.

Egli si volse, con gli occhi spalancati e la bocca aperta dallo stupore. Una donna, che era giunta assieme ad altra gente, guardò quell’essere chino sulla ragazza morta, avvolto in un grande e nero mantello, col volto pallido come la cera ed una bocca sporca di sangue dalla quale sporgevano due orrende zanne. Si fece il segno della croce e cominciò a urlare.

«Prendiamolo! Ormai è nostro e non colpirà più!» fece eco un altro.


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  © Paolo Mameli