la leggenda del bÒcolo e

la fuga di bianca cappello

Sue storie d’amore veneziane

 
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Due racconti d’amore tra storia e leggenda



Spesso la storia diviene mito e il mito diviene storia: ciò mi ha sempre affascinato e proprio pensando a tale binomio ho scritto questi miei racconti. Due storie d’amore in qualche modo antitetiche e complementari tra di loro che, come in un magico gioco di specchi, una specie di fantastico Tai-Chi-Tu in cui i poli opposti si confrontano, ci presentano due volti di una Venezia insolita e affascinante.

La prima, che narra la vicenda che sta alla base della tradizione di donare per la festa di San Marco alla propria amata un bocciolo di rosa rossa, il bòcolo, si svolge in una Venezia arcaica, con personaggi mitici ormai entrati a far parte dell’immaginario collettivo di tutti noi: il paladino Orlando, il re Carlomagno, il doge Agnolo Partecipazio. Una storia le cui origini si perdono nella notte dei tempi eppure che ha dato vita ad una tradizione ancora viva e sentita; scrivere questo racconto non è stato semplice perché, come narratore, mi sono posto il quesito su quanto dovessi lavorare di fantasia, visti i protagonisti e l’impianto fantastico della vicenda, e quanto invece avessi dovuto attenermi ad una storiografia rigorosa. Alla fine ho optato per un’integrazione continua tra le due posizioni, costantemente in bilico tra mito e realtà: i personaggi sono sì degli eroi, Orlando agisce come nella Chanson de gestes mulinando la sua Durlindana e facendo strage di nemici, ma veste come un Carolingio, così come il Palazzo Ducale del IX secolo, all’epoca un turrito castello, è descritto attingendo alle più recenti ricostruzioni storiche; ho cercato pertanto di vagliare ogni particolare, ponendomi spesso domande di non facile risposta come, ad esempio, quale titolo un carolingio come Orlando avrebbe adottato per rivolgersi al Doge. Il tutto, però, senza mai rinunciare alla narrativa, anzi! L’impianto del racconto, tra flashback a “scatole cinesi” deve sì trasportare il lettore in epoche lontane, ma soprattutto appassionarlo alle vicende d’amore, farlo fremere d’ansia durante le battaglie, renderlo partecipe delle avventure dei protagonisti.

Un’impostazione diversa, ma per molti aspetti simile, ho adottato invece per la vicenda della fuga di Bianca Cappello: in questo caso la realtà ha superato di gran lunga la fantasia, poiché quanto è accaduto alla metà del XVI secolo ha tuttora dell’incredibile. Per scriverlo mi sono ricondotto alle “Memorie di Bianca Cappello” trascritte (o riscritte?) nel 1827 da Stefano Ticozzi dal manoscritto originale ritrovato fortunosamente, e qui siamo nell’incredibile dentro all’incredibile, durante un restauro della dimora fiorentina in cui visse la veneziana divenuta poi duchessa di Toscana. Purtroppo i ventitrè fogli originali, in cattive condizioni e sottoposti a uno sciagurato bagno d’acido per far rinvenire le scritture sbiadite, non esistono più e quindi ho voluto prendere per buono il passo in cui l’autore sostiene che  “… non mi riuscì difficile il farne copia, che posso assicurare fedelissima”, verificando su altri documenti i passaggi che mi parevano un po’ dubbi.

Ed è proprio nelle Memorie di Bianca Cappello che compare il personaggio di Cattina, la fantesca, e viene citato il passaggio segreto. Oggi in quel palazzo, che sorge vicino a Rialto, non abbiamo prove di quel passaggio, ma dall’epoca di Bianca l’edificio è stato più volte rimaneggiato e quindi possiamo accettare il fatto che ci fosse. Anche quando si parla di gondole non dobbiamo immaginarci la complessa imbarcazione che oggi vediamo scivolare tra i rii, ma una più semplice, con una specie di baldacchino, il felze, che riparava i viaggiatori sia dal sole che dagli sguardi indiscreti. Per avere un’idea della foggia di una gondola antica, si guardi “Il miracolo della Croce” di Vittore Carpaccio, uno dei telèri conservati alle Gallerie dell’Accademia, dove, sotto un ponte di Rialto ancora in legno e con l’apertura centrale, scivolano alcune imbarcazioni scure, le gondole appunto. Sempre a proposito di gondole, ricordo una piccola curiosità: il colore nero obbligatorio fu decretato da una legge suntuaria solo il secolo successivo a quello in cui si svolge la nostra vicenda, proprio per frenare lo sfarzo eccessivo delle decorazioni.

Come per La leggenda del bòcolo, ho cercato di curare un’ambientazione realistica e storicamente credibile, rifacendomi ai dipinti dell’epoca e consultando testi di vari autori più o meno a noi contemporanei, da Samuele Romanin ad Alvise Zorzi per citarne solo alcuni.

In quanto al racconto vero e proprio, anche in questo caso ho giocato con la narrativa pura, tra colpi di scena e incontri segreti, creando la psicologia dei personaggi secondo la mia interpretazione della vicenda: astuto e calcolatore lui, ingenua e candida lei. Oppure no? Lascio ai lettori il giudizio. E proprio ai lettori aggiungo un consiglio: non andate a leggere subito le ultime righe, perché contengono un piccolo/grande colpo di scena.

Ed ora, cos’altro posso dirvi? Null’altro che augurarvi buona lettura, magari accanto ad un rosso bocciolo di rosa che, miracolosamente, è giunto fino a noi dalle nebbie del tempo.



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