Il cuore di Venezia: Rialto raccontata a veneziani e turisti


La Nuova Venezia - 26 agosto 2010 —   pagina 34   sezione: Spettacolo



Rialto non è solo un ponte, è il cuore vero di Venezia, per secoli la sorgente continua dell’economia veneziana: I nobilhomeni della classe dirigente governavano a San Marco e poi andavano a Rialto, a curare i loro affari tra magazèni e fonteghi. Politici ma anche mercanti, patrizi ma con la partita doppia da tenere in ordine. Il carico di una nave che tornasse dalla mude di Alessandria valeva quasi come l’intero bilancio dello Stato, a metà del 1300. Vedete un po’ se oltre alla cura della repubblica, non valeva la pena starci dietro... Rivo Alto vuol dire un’isola meglio difesa delle altre dalle inondazioni, e fu il primo nucleo dell’abitato veneziano. L’isola dell’insediamento, l’embrione di una Venezia un palmo sopra la melma e l’acqua, che attorno al Mille “parte” come città.

Si costruiscono i primi ponti tra le isole, i vari nuclei si fondono.

 Le persone comunicano meglio, il tessuto urbano si salda. Rialto è il punto topico della vita commerciale di Venezia, cioè del fattore primo della sua esistenza e del suo successo. Le barche e le navi risalgono il Canal Grande e scaricano, lì c’è il mercato al minuto del cibo, lì i negozi con le meraviglie arrivate dal mondo conosciuto, lì i fondaci veneziani e stranieri: oggi rimane solo quello dei Tedeschi, ma guardate le dimensioni. Rialto non è solo un ponte, ma il pezzo di Venezia che le ha permesso di vivere anche prima e dopo i mille anni della sua indipendenza. Vale la pena scoprirlo a fondo, e per fortuna ci ha pensato un veneziano. Paolo Mameli ha consumato scarpe, ha fatto lo slalom tra i turisti, ha scattato più di mille foto, ha letto la storia ma soprattutto è andato a cercare quello che pochi hanno voglia di vedere: un segno del tempo, un significato, perfino un silenzio. E ha scritto una guida («Passeggiando per Rialto») che può raccontare qualcosa di nuovo anche agli stessi veneziani, oltre che naturalmente ai foresti intelligenti che abbiano voglia e tempo. «La guida è la trasposizione su carta di una passeggiata tra amici: si passa davanti a un palazzo, se ne parla, dopo venti metri ci si ferma a raccontare un episodio, si fa una digressione su un particolare, insomma ci si lascia catturare dai luoghi senza guardare troppo l’orologio», dice Mameli. Slow walk, l’unico modo di capire. Soprattutto Venezia, che ad ogni metro ti sorprende, ti mette sotto il naso la sua storia, la sua fantasia, le sue bellezze ma anche la sua organizzazione. Spunti ovunque, e Mameli li mette uno dopo l’altro. Spiega che ci sono due tipi di guide: quelle superanalitiche, che ti dicono tutto, ma proprio tutto, tanto che dovresti studiartele in biblioteca; e quelle che puntano su una grafica suggestiva, belle immagini, ma sono come una serie di flash, abbagliano senza permettere di cogliere. Mameli spera di essere riuscito a trovare la via di mezzo: la completezza («c’è tutto») assieme alla leggerezza d’impianto. Ma, per esempio, non c’è alcuna immagine ad effetto, tutte servono a spiegare, messe giusto dove c’è il testo relativo, da “leggere” con numerini strategici. Non c’è nemmeno una didascalia, ma si capisce benissimo lo stesso. Le “soste con gli amici” sono dei riquadrini verdi: vuol dire approfondimento, curiosità. Gli itinerari sono quattro, quasi sempre appena fuori dalla fiumana del turismo ingombrante.

 Si parte con l’area del mercato. E con l’intento di non fare l’elenco dei monumenti, ma di spiegare cos’è stato questo luogo. Ricerche interessanti: la gerarchia delle calli, individuate dai nomi delle attività e dalla saggezza: quelle che ospitavano le merci più deperibili verso il canale, e via via all’interno gli altri magazzini o le botteghe degli artigiani “dedicati” al commercio. Si capisce perché la seta più fine, il parangon, aveva un luogo strategico di vendita e si legge della considerazione dei pollivendoli: la Repubblica li stimava perché, vendendo carne poco cara, sfamavano la povera gente e avevano una funzione sociale. E avanti così, tra i gioielli noti e quelli da scoprire: le iscrizioni, le piccole sculture, i “segni”: come l’impronta incavata di un pesce che dava con esattezza la misura minima, o la pietra che diceva concretamente di quanto potessero sporgere i barbacani, o ancora i mattoni detti “altinelle”, che non sono uguali agli altri. Minuzie che vi fanno “sentire” Venezia.

 Poi il ponte, che non è una minuzia. Ovviamente, c’è la storia di questo ponte che, così com’è oggi, è uno dei più noti del mondo. All’inizio, e siamo nel 1185, era un ponte di barche realizzato da Nicolò Barattieri, quell’“ingegnere” che tirò su le colonne di Marco e Todaro in Piazzetta. Poi ci fu quello in legno con due parti fisse e quella centrale mobile: ebbe più vite, perché cadde parecchie volte, per vetustà o sotto il peso della gente. In un momento fu così malmesso che non si poteva attraversare portando più di un sacco alla volta. Così decisero di farlo in pietra, e ci ragionarono per settant’anni: cominciarono a discutere nel 1520, il ponte venne realizzato nel 1591. In mezzo, due concorsi che videro sfidarsi Palladio, Sansovino e Vignola (bocciati), più tardi Scamozzi e Da Ponte. Vinse quest’ultimo, magari perché era il proto in carica: bello il suo ponte, ma non c’era parcella da pagargli...

 Un’opera immane, con un’arcata unica che per l’epoca era un prodigio di ingegneria, per le dimensioni e lo stato dei luoghi. Dovettero costruire due palazzi sulle opposte rive, per assorbire le controspinte delle strutture. Beh, è ancora lì. Anche per il ponte, particolari succosi: per esempio, sul lato sud, che guarda Ca’ Farsetti, giusto sopra la cornice dell’arcata, è rappresentata l’Annunciazione (si diceva che Venezia fosse nata lo stesso giorno in cui la madonna ricevette la lieta novella). A destra c’è l’arcangelo, a sinistra la vergine e in mezzo... non c’è niente. O meglio non si vede niente, perché lo Spirito Santo è sempre coperto dagli striscioni appesi al culmine dell’arcata. Ah, la pubblicità... Mameli se ne accorge e lo scrive. E così avanti con gli altri tre itinerari, passando per l’antico quartiere a luci rosse, il Castelletto, o davanti a porte allargate alla base per farci passare le botti rotolanti, o fermandosi a disquisire di “pissabraghe”: quei conci di marmo che chiudevano certi angoli nelle calli. Per divieto di pipì o, meglio, per impedire che al buio qualcuno si nascondesse per un agguato?

 L’editore Storti, casa veneziana di lungo corso specializzata in guide turistiche, ha lasciato totale libertà a Paolo Mameli, sapendo che è architetto e illustratore: così lui se l’è fatta tutta da solo, con l’occhio dell’esperto, il gusto per la storia e qualche intuizione: per esempio, ha studiato gli itinerari come fosse un regista, calcolando l’effetto sorpresa, lo sbucare inaspettato, l’emozione. Buona guida, insomma, diversa dalle altre, «da leggersi - consiglia Mameli - anche prima o dopo essersi avventurati per Rialto». Fatelo. Per gustarvi l’anticipazione, il primo settembre alle 17.30 al Telecom Future Centre, a san Salvador, la guida viene presentata, l’ingresso è libero. Dal giorno dopo sarà nelle librerie. Potrete acquistarla anche assieme a questo giornale, dal 2 settembre in poi. Bastano 5 euro.


Paolo Coltro


(Articolo pubblicato anche su IL MATTINO DI PADOVA e LA TRIBUNA DI TREVISO)

 
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